Ortofrutta, un’opportunità da cogliere

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Attilio Matera.

Un alimento che “dura” di più contribuisce al successo della piccola azienda che vende localmente e dell’industria che conferisce alla GDO. Per prolungare la shelf life di un prodotto ortofrutticolo è importante intervenire non solo sulle sue caratteristiche iniziali ma anche sul sistema packaging.

La IV gamma è un settore strategico per alcune regioni italiane. Campania e Lombardia sono ai primi posti nella trasformazione dei prodotti orticoli, il Trentino è leader nei prodotti frutticoli. In entrambi e casi l’agricoltura locale è la principale fonte di approvvigionamento della materia prima. Le preoccupazioni per l’ambiente e il desiderio di ridurre gli sprechi inducono le aziende a cercare nuove modalità di confezionamento e trainano l’innovazione del settore.

Ne abbiamo parlato con Attilio Matera, tecnologo alimentare, consulente aziendale, ricercatore e docente presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari e Ambientali l’Università della Basilicata dove insegna nei corsi di Macchine e impianti per la produzione dei prodotti di IV gamma e di Recupero e valorizzazione dei sottoprodotti dell’industria alimentare.

Perché ha scelto il corso di studi in Scienze e tecnologie alimentari?

Ho sempre avuto una forte predisposizione per le materie scientifiche ed ero e sono appassionato del buon cibo. Ero incuriosito dai contenuti di questo all’epoca “giovane” corso di laurea. Lo trovavo innovativo, per non dire avveniristico. Mi iscrissi alla laurea triennale presso l’Università degli Studi della Basilicata e per la laurea di secondo livello scelsi la facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano.

Quale è stato l’argomento della sua tesi di laurea?

Presso il Politecnico di Valencia (Spagna) ho svolto una ricerca per la messa a punto di un biosensore per il dosaggio rapido degli antibiotici nel miele. Un biosensore è un dispositivo analitico costituito da un recettore di riconoscimento biologico. Può essere un enzima, un anticorpo o un tratto di DNA, che bloccato sulla superficie di un trasduttore ottico, elettronico o optoelettronico rileva specifici analiti target in miscele complesse. I biosensori possono rilevare agenti patogeni, molecole e composti potenzialmente dannosi, come pesticidi e antibiotici.

L’individuazione del composto è selettiva ed affidabile e il sistema è molto sensibile. Ho lavorato allo sviluppo di uno strumento che consente l’individuazione rapida e automatica della presenza nel campione di un massimo di otto antibiotici per volta. Un detector a fluorescenza rileva la presenza dell’antibiotico tramite una reazione immunoenzimatica.

È impiegato un anticorpo, marcato con un fluoroforo che, in presenza di substrato, costituito in questo caso da un antibiotico, e di un enzima emette un segnale proporzionale alla concentrazione dell’antibiotico stesso. Avevo il compito di ottimizzare il funzionamento del sistema (tempo d’analisi, volume e tipologia di reagenti) senza inficiare le performance analitiche (precisione, limite e range di detezione vale a dire il limite minimo di analita che rispetto allo zero comincia ad avere una attendibilità e una ripetibilità).

LA RICERCA INTERNAZIONALE

In seguito, è stato, per un altrettanto lungo periodo, presso l’Università di Portsmouth nella contea dell’Hampshire, nella costa meridionale del Regno Unito, dove ha lavorato come assistente scientifico nel comparto della biologia molecolare. Quali erano i suoi compiti?

Collaboravo ad un progetto di ricerca per lo studio sulle componenti bioattive in differenti specie di limoni. Mi riferisco a flavonoidi, carotenoidi, olii essenziale della famiglia dei terpeni e limonoidi, pectina e cumarina. Ho anche avuto modo di acquisire padronanza nell’esecuzione di analisi biomolecolari, in particolare per quanto concerne la caratterizzazione del materiale proteico.

Ci sono differenze di approccio alla ricerca in Italia, Spagna e UK?

Si, da diversi punti di vista. Nell’approccio al lavoro, all’estero si è più indipendenti e meno assistiti. Le attività sono meno gravate dalla burocrazia e si possono eseguire più rapidamente. All’estero la preparazione è meno teorica, molto settoriale e specifica. In Italia si tende invece ad impartire una formazione multidisciplinare. Non saprei dire quale sia il migliore approccio. Io ho molto apprezzato il rapportarmi con ambienti nuovi e differenti, mettermi in gioco ed acquisire e trasmettere nuove competenze.

PROLUNGARE LA SHELF LIFE DEI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI

Come è proseguita la sua carriera?

Tornato in Italia ho lavorato allo sviluppo di Blow, una nuova tecnologia di confezionamento in grado di prolungare la shelf life dei prodotti ortofrutticoli freschi di I e IV gamma, del vino ed in generale dei prodotti confezionati che respirano, necessitano di uno scambio gassoso o di una micro-ossigenazione.

Quali sono i principali fattori che influenzano la conservabilità dei prodotti di IV gamma?

Non tutte le varietà di frutta o verdura sono adatte alla IV gamma. La materia prima da trasformare deve essere di ottima qualità. È pertanto necessario progettare con cura tutto ciò che avviene in “campo”, mi riferisco per esempio alla scelta di varietà adatte allo scopo. Devono mantenere la freschezza, intesa come conservabilità, aspetto e sapori, anche dopo il taglio e il confezionamento. Altrettanto fondamentali sono le pratiche agronomiche e la riduzione al minimo dello stress in campo dovuto a fattori biotici o abiotici.

Un notevole contributo è dato dall’ottimizzare i tempi e i metodi di raccolta per garantire che i prodotti siano al massimo della freschezza nel momento della trasformazione. Dopo il raccolto, per la shelf-life dei prodotti diventano fattori determinanti: la temperatura e l’umidità a cui sono esposti, lo stato fisico in cui si trovano (per esempio se a foglia intera o tagliata). Per i prodotti di IV gamma sono inoltre essenziali l’efficacia della fase di lavaggio e asciugatura, la composizione gassosa dello spazio di testa, la massa di prodotto impiegato, il packaging (tipo di materiale, superfice e spessore).

Quali fattori si considerano per stabilire le soglie di accettabilità e di conseguenza la shelf life di questi prodotti?

I prodotti I e IV gamma commercializzati devono rispettare dei pre-requisiti di accettabilità chimica, relativi alla presenza di pesticidi (analisi multi residuale), soprattutto per i prodotti a marchio o biologici, e di accettabilità microbiologica, relativa all’assenza di Escherichia coli e Salmonella o della crescita di Listreria monocytogenes durante la conservazione.

Appurato che non vi sia un rischio chimico o microbiologico per il prodotto, ciò che ne determina la commercializzazione, sotto le diverse categorie (Extra, I, II), sono proprietà come la durezza, il colore, il contenuto di solidi solubili e sostanza secca. Da parte dei commercianti e dei consumatori l’accettabilità e la scelta sono legate agli aspetti edonistici che si generano intorno ad una referenza, quali colore, consistenza, apparenza generale. Gli standard di accettabilità variano da soggetto a soggetto.

È possibile sviluppare dei modelli previsionali per definire la shelf life di questi prodotti?

Certamente. Le recenti tecnologie testate a tal proposito non sono distruttive e sono basate sull’impiego di camere iperspettrali e multispettrali che rilevano lunghezze d’onda non percepibili all’occhio umano e contengono informazioni nascoste correlabili con le proprietà chimiche, fisiche e biochimiche dei prodotti. Questo consente di rilevare parametri qualitativi fondamentali in maniera rapida ed efficace e di mettere a punto, con opportuni approcci basati sulla clusterizzazione, dei modelli previsionali di shelf-life partendo dall’analisi dello spettro di un campione ancora in campo.

IL PROGETTO BLOW

Da dove è nata l’idea del progetto BLOW?

Ci siamo focalizzati sul settore ortofrutticolo e sul suo punto debole, vale a dire l’alta percentuale di scarti che si creano durante la distribuzione. Le cause sono note: i prodotti sono delicati, altamente deperibili ma non sempre movimentati e confezionati in modo ottimale. Eravamo convinti che la loro vita utile potesse essere estesa adottando opportuni approcci tecnologici. I prodotti ortofrutticoli respirano (consumano ossigeno e producono anidride carbonica) e perdono peso rapidamente. Le condizioni di conservazione sono fondamentali per minimizzare i danni.

Se opportunamente sigillati, i prodotti possono essere protetti dal calo peso e dai danni meccanici, ma purtroppo possono anche andare incontro ad anossia e indesiderate fermentazioni. Dovevamo trovare il modo di tenere ossigeno e anidride carbonica a livelli tali da garantire la respirazione e una efficace azione batteriostatica. Il fulcro della tecnologia Blow è una valvola che sfrutta le variazioni di pressione e di temperatura che si generano tra l’interno e l’esterno della confezione. Sono dovute alla respirazione del prodotto ed al funzionamento delle componenti impiantistiche della cella frigorifera (compressore, ventole, temperatura).

Per regolare le concentrazioni gassose tra l’interno e l’esterno del contenitore, la valvola Blow reintegra l’ossigeno consumato e espelle l’anidride carbonica in eccesso evitandone l’accumulo. Evita anche l’accumulo di vapore acqueo responsabile dei marciumi. L’azienda ha anche il vantaggio di poter utilizzare un solo tipo di film di confezionamento per prodotti con esigenze fisiologiche diverse. La nostra prima sperimentazione è stata sull’uva da tavola da agricoltura biologica.

Perché avete scelto l’uva?

Dopo Perù e Olanda, l’Italia è il terzo esportatore al mondo di uva da tavola, e l’uva è il secondo frutto, dopo le mele, per giro d’affari generato dall’export. Il buon potenziale produttivo deve essere supportato da una altrettanto ottima conservabilità. Il valore di mercato dell’uva da tavola è subordinato a diversi requisiti di qualità, principalmente correlati al decadimento microbico, al rapporto zucchero/acidità e al colore. La tecnologia Blow doveva innanzitutto preservare il contenuto di umidità e l’aspetto dei grappoli. Il sistema è composto da una valvola e da una macchina atta ad applicarla alla confezione.

La valvola è disponibile in diversi tipi di plastiche o bioplastiche e, quando è applicata all’imballaggio primario tramite saldatura termica o con ultrasuoni, regola in modo selettivo le pressioni parziali dei gas nel contenitore. Le pressioni parziali si riequilibrano in risposta agli input del sistema, ossia a temperatura, massa di prodotto, tasso di respirazione, permeabilità della confezione dovute al materiale di confezionamento utilizzato. Si garantiscono di conseguenza le condizioni gassose ottimali durante la frigo-conservazione.

Il funzionamento della valvola è subordinato all’applicazione automatizzata in linea sul materiale di confezionamento attraverso una macchina valvolatrice (costruita ad hoc per questa soluzione), impiegando parametri specifici per ogni materiale e protocolli di conservazione che abbiamo ottimizzato nel corso degli anni. Senza ricorrere all’anidride solforosa abbiamo ottenuto una shelf life di 45 giorni per l’uva da tavola di categoria extra e di 60 giorni per l’uva di categoria I. Attualmente questa tecnologia con la linea per la sua applicazione è installata presso una azienda ortofrutticola pugliese. Buona parte della sua produzione è esportata in Nord Europa. La stessa tecnologia ha dato ottimi risultati quando è stata valutata per la conservazione di funghi, rucola, fichi ed arance.

Oltre a Blow ci sono altre nuove tecnologie che le aziende possono considerare?

Oggi sappiamo che la rimozione rapida del calore di campo successivamente alla raccolta è un fattore determinante per rallentare il deterioramento, insieme al controllo della temperatura e della umidità relativa in cella. La gestione del freddo deve però essere specifica per ogni categoria di prodotti, per alcuni di essi, infatti, lo stress dovuto all’esposizione prolungata al freddo può essere letale. In fase di conservazione e distribuzione, l’impiego di ulteriori tecnologie (packaging microforati, oli essenziali, dipping, coating, atmosfera modificata) può essere significativamente valido.

Ci sono tantissime tecnologie testate in laboratorio in via sperimentale e che ancora non hanno subìto lo scale-up industriale perché incontrano le resistenze del mercato o non sono ancora del tutto pronte per diversi motivi. Si sta cercando di sfruttare a pieno le potenzialità delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale per intensificare la raccolta di dati al fine, per esempio, di quantificare e classificare gli scarti dal campo alla trasformazione e immaginare nuovi modelli per il loro riuso, o di creare una block-chain di filiera per garantire la tracciabilità e l’origine dei prodotti. Ad ogni modo, lo sfruttamento di una tecnologia deve essere sempre rapportato al valore di mercato del prodotto per il quale sarà impiegata. È necessaria una valutazione preliminare dei costi-benefici per valutarne l’idoneità.

NON SOLO ORTOFRUTTA

Da anni ha una fattiva collaborazione con un’azienda che opera nel settore dei distributori automatici. Quali sono i suoi compiti?

Da oltre 25 anni, la Good Service srl si occupa di distribuzione automatica di bevande e snack, e quattro anni fa ha ampliato il proprio core business alla produzione e distribuzione di prodotti di V gamma. Sono ortaggi e non solo, precotti, senza conservanti o condimenti. Sono confezionati in contenitori o vaschette che consentono il comodo riscaldamento del prodotto direttamente al loro interno.

L’azienda ha individuato un crescente interesse da parte del mercato nei confronti di questi prodotti. Lavoro per loro come consulente con il ruolo di responsabile della divisione di ricerca e sviluppo. Mi occupo della selezione delle materie prime, sviluppo protocolli, selezione dei parametri di processo e validazione dei prodotti finiti.

Insegna anche presso l’Università della Basilicata…

Presso il Corso di laurea magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari, sono titolare del corso di “Macchine e impianti per la produzione dei prodotti di IV gamma”; mentre presso il corso di dottorato in Scienze Agrarie, Forestali e degli Alimenti, sono titolare del corso di “Recupero e valorizzazione dei sottoprodotti dell’industria alimentare”.

A quali nuovi progetti di ricerca sta lavorando?

Sono incardinato su diversi progetti di ricerca. Un progetto ha come obiettivo la massimizzazione della sostenibilità ambientale e di processo della filiera olearia, attraverso azioni di tipo biotecnologico ed impiantistico. In un’altra attività sono impegnato nello sviluppo di un packaging bio per l’estensione della shelf-life dei frutti di bosco e di un Decision Support System utile per i fornitori e consumatori, permette infatti di avere informazioni in tempo reale sullo stato di conservazione di un prodotto e ne suggerisce l’utilizzo. In ultimo, sono responsabile scientifico di un progetto volto a testare strategie innovative per la gestione in post-raccolta del kiwi a pasta gialla Sungold®.

Progetti per il futuro?

Il settore agro-alimentare è in forte evoluzione: rispetto al passato le tecnologie si sono molto diffuse in tutte le aree, con un grado di innovazione che va di pari passo con quello degli altri settori. Il machine e deep learning saranno sempre più coinvolti nei processi produttivi e decisionali a supporto di una filiera sempre più digitalizzata. Inoltre, i sistemi economico-produttivi messi in campo a partire dal secolo scorso, basati sulla linearità delle produzioni e sull’iper-sfruttamento delle risorse, sono da rivedere. Sono infatti in forte connessione con i comportamenti sociali e le caratteristiche dell’ambiente che ci circonda, parametri che nel tempo sono cambiati. Il presente ci configura delle sfide che dobbiamo affrontare e risolvere con caratteristiche di tempestività, efficacia e sostenibilità.

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