Nel vino, da sempre, si specifica e valorizza il vitigno; perché, non fare altrettanto con il cacao? Oggi si gusta il cioccolato perché piace, costa poco, si può acquistare ovunque; e in futuro sarà curativo.
Silvio Bessone, piemontese, laurea in Scienze culinarie in Belgio, cioccolatiere, chef, ristoratore, agricoltore biodinamico, produttore di formaggi, scrupoloso ricercatore nel settore del cacao, consulente internazionale per progetti solidali ed ecocompatibili in Brasile, Ecuador, Messico, Venezuela, Costa D’avorio e Sry Lanka. Curioso, deciso, schietto e provocatorio al punto di definire il cioccolato un “equivoco culturale”, il dottor Bessone è uno strenuo difensore della qualità alimentare, perché il consumatore merita rispetto.
Come nasce la sua passione per il cioccolato?
È congenita. Il mio primo ricordo risale all’età di due anni e ha il sapore del cioccolato: un uovo di Pasqua contente un pulcino meccanico. Un’altra data “storica” è il 26 dicembre 1970, avevo 5 anni, mi recavo al cinema di Mondovì per trascorrere un allegro pomeriggio con mio padre e, passando davanti ad una pasticceria, vidi in vetrina un vassoio colmo di cioccolatini; entusiasta esclamai “da grande comprerò questo negozio”! Ero un bambino strano, biondino, gracilino, affascinato dalla cucina e dai pentolini di rame delle mie cuginette. A quattro anni, cucinavo davvero, facevo i formaggi con la nonna, i salami con il nonno, le marmellate con la zia; venivo coinvolto da chiunque, nella mia numerosa famiglia, avesse bisogno di una mano in cucina. Ho frequentato le scuole medie in collegio e, mentre i miei amici giocavano, andavo in pasticceria a preparare dolci che regalavo a compagni di classe ed insegnanti. A 12 anni avevo già creato la mia prima torta nuziale.
All’epoca la sua famiglia lavorava nella ristorazione?
No, ma ai primi del ‘900, una mia bisnonna era “la cuoca” del territorio, stimata al punto da essere celebrata, nel 1912 e nel 1919 con due serie di cartoline illustrate. Assecondando questa mia predisposizione, il nonno Andrea mi ripeteva spesso che per diventare “il cioccolatiere” avrei dovuto concentrarmi su due aspetti: ciò che gli altri non facevano più e ciò che gli altri non facevano ancora. Un’esortazione che ha stimolato la mia insaziabile curiosità. Una formazione fuori dagli schemi Che formazione scolastica ha avuto? L’11 novembre 1979, poco prima dei 14 anni, ho lasciato la scuola. Trovavo l’Istituto alberghiero lento e poco impegnativo. Chiesi al Preside di poter sostenere al più presto gli esami di terza e di fronte al suo rifiuto, risposi che non avrei più frequentato, perché non avevo tre anni da perdere. Avevo un carattere volitivo, fare una cosa alla volta mi annoiava terribilmente, non sopportavo che mi si dessero ordini e ripetessero le cose, per evitarlo anticipavo i miei doveri. Questa predisposizione d’animo mi ha reso veloce e mi ha fatto dubitare di essere stupido; infatti, volendo essere fulmineo anche con il pensiero, quando risolvevo un problema pensavo di esserci arrivato troppo tardi ed ero sempre insoddisfatto.
Come ha affrontato il mondo del lavoro?
Per un anno, ho lavorato con Giuseppe Bosco, pasticcere, ristoratore, manager nel mondo dello spettacolo. Un uomo intelligentissimo, creativo, un mentore capace di anticipare e dettare le mode. Poi, a quindici anni, munito di sacco a pelo e tendina canadese, sono partito per la Francia dove ho intrapreso il Compagnons du Tour de France.